Guido Reni, Adorazione dei pastori, 1640, Certosa di San Martino, Napoli

18  Dicembre

“A Natale i cristiani celebrano questo mistero già avvenuto - la venuta di Dio nella carne di Gesù - come promessa e garanzia di quanto ancora attendono: che Dio sia in tutta l’umanità e che l’umanità sia fatta Dio. Ma se questo è il fondamento della festa, allora la gioia che la abita non può essere soggetta ad alcuna “esclusiva”: è gioia “per tutto il popolo”, per l’intera umanità destinataria dell’amore di Dio. I cristiani non possono impossessarsi del Natale sottraendolo agli altri, non possono imprigionare la speranza che è anelito del cuore di tutti.
Se in Gesù il Creatore si è fatto creatura, l’Eterno si è fatto mortale, l’Onnipotente si è fatto impotente, è perché l’uomo potesse diventare il Figlio stesso di Dio. Siamo di fronte a quel “admirabile commercium”, a quel “mirabile scambio” con cui i padri della chiesa dei primi secoli cercavano di spiegare ai loro contemporanei l’evento che aveva non tanto cambiato il corso della storia, ma piuttosto ridato alla storia il suo senso.
È questa la radiosa speranza che i cristiani dovrebbero ancora oggi annunciare agli uomini e alle donne in mezzo ai quali vivono, così assetati di senso, così desiderosi di speranza, così abitati da un’attesa più grande del loro stesso cuore.
Per i cristiani si tratta di andare, di stare in mezzo agli altri con la stessa gioia con cui Dio è venuto in mezzo a noi nel Figlio, l’Emmanuele, il Dio-con-noi che non può e non deve mai diventare il Dio-contro-gli-altri. Allora il Natale – non solo quello cristiano, ma anche quello “di tutti”, anche quel clima contagioso di bontà che vince l’ipocrisia di un melenso buonismo – non finirà bruciato nel consumarsi di poche ore e di molti beni, non si spegnerà con l’ultima luminaria, non conoscerà lo svilimento del “saldo” di fine stagione, ma si dilaterà moltiplicandosi nel vissuto quotidiano: sarà il pegno di una vita più umana, abitata da relazioni autentiche e da rispetto dell’altro, una vita ricca di senso, capace di esprimere in gesti e parole la bellezza e la luce, echi di quella luce che brillò nella notte fonda di Betlemme e che deve brillare anche oggi in ogni luogo avvolto dalle tenebre del dolore e del non-senso.
I cristiani sanno per fede che Dio ha voluto compromettersi radicalmente con l’umanità facendosi uomo, sanno che è entrato nella storia per orientarla definitivamente verso un esito di salvezza, sanno che ha assunto la fragilità dell’uomo esposto alle offese del male proprio per vincere il male e la morte. E questa loro “conoscenza” sono chiamati a testimoniarla in un’assunzione quotidiana della povertà, dell’abbassamento per incontrare l’altro, nella consapevolezza che ciò che unisce gli uomini è più grande di ciò che li differenzia e li contrappone. Sì, se a Natale i cristiani sono nella gioia non è un privilegio a loro riservato, un dono che la condivisione vanificherebbe: al contrario, non è loro consentito di impadronirsene in esclusiva perché non possono sottrarre Cristo all’umanità cui è stato inviato dal Padre: il Natale è invito alla speranza, e questa speranza è offerta a tutti".
-- Enzo Bianchi, Religioso e scrittore italiano, fondatore e Priore della Comunità monastica di Bose.